Leggendo il terzo volume dell’autobiografia di Elias Canetti (Il gioco degli occhi, Adelphi) si incontra un uomo verso il quale lo scrittore bulgaro nutre profonda ammirazione: il dottor Sonne. Grazie alla passione editoriale de I Portatori d’acqua, piccola e preziosa casa editrice pesarese, possiamo leggere i pochissimi scritti che Avraham Sonne ci ha lasciato, con il nome di Avraham Ben Yitzhak.

Secondo le parole Canetti Sonne era una biblioteca vivente, pur non tenendo mai in mano un libro, sapeva tutto e di tutto poteva parlare con competenza e con grande raffinatezza. Personaggio prodigioso, ebbe su di lui un grande influsso e per molti fu maestro di poesia.

Il testo edito con le sue poesie in italiano ormai qualche anno fa, ma destinato a non invecchiare (Avraham Ben Yitzhak, Poesie, Portatori d’acqua, Pesaro 2018), è accompagnato anche da uno scritto di Lea Goldberg che illumina un po’ la nebbia della vita di Sonne. Una vita misteriosa sulla quale il poeta (solo?) avrebbe voluto che calasse il silenzio. Lea Goldberg con timore e fatica si è vista costretta a violare il desiderio perché il tesoro che Sonnei ha lasciato era troppo prezioso per essere lasciato all’oblio.

Autore poco noto ma fondativo, nelle parole di chi lo ha conosciuto, della letteratura ebraica nella “nuova” lingua che Israele si ritrova ad avere, Sonne parla con lo sguardo della poesia biblica. Usa la parola di chi viveva ancora la Shekinà nel Tempio. Ha occhi sul creato e la natura vivi come quelli di Davide nei Salmi. Alza lo sguardo al creato, verso monti e boschi, sulla terra e sull’acqua, come forse dalla diaspora in poi non si era più soliti fare, particolarmente nell’Europa orientale, per rivolgerlo solo alla Legge. Nell’introduzione dei curatori Anna Linda Callow e Cosimo Nicolini Coen si riporta con acume a riguardo un detto delle Massime dei Padri (III, 7): Rabbi Shimon dice: Colui che va per la strada e studia e smette di studiare per dire “come è bello quest’albero e come è bello questo solco” è ritenuto colpevole di avere messo in pericolo la propria vita.

Le sue poesie, solo undici pubblicate in vita, cullano i temi dello stupore e del segreto, come difficilmente sondabile è d’altronde anche il loro autore, invitando ancora di più alla curiosità e all’interesse.

I monti che si congiungono intorno alla mia città

custodiscono un segreto nei loro boschi;

sopra il quale rumoreggia un mare di alberi

e in quell’ombroso nascondiglio è nascosto il segreto.

E giunge il tempo della vendemmia, dorato e prode,

e sparge la sua luce all’intorno, –

tutti i sentieri splendono,

perfino il bosco schiarisce…

silenzioso e sublime

con il capo nei cieli,

e su quel segreto si posa

si posa la luce.

I pochi dati sulla vita di Sonne e la sua ritrosia lo lasciano avvicinare ad altri intellettuali che poco hanno prodotto su carta ma molto hanno fatto per il pensiero e l’opera altrui. Si pensi nell’ambito della letteratura per esempio a Roberto Bazlen della casa editrice Adelphi (sulle cui tracce si muove per una personale ricerca Daniele Del Giudice ne Lo stadio di Wimbledon) o, cambiando ambito, ad un più lontano Yehoshua Ben Yosef, nato a Betlemme da famiglia di Nazareth, in Galilea, al quale non si può non pensare di rimando leggendo la poesia di Ben Yitzhak riportata in stralcio alla fine dell’articolo, il quale prefigurava in chi lo avesse seguito opere ancor maggiori delle sue.

Per vicinanza storica un altro misterioso personaggio dell’ebraismo del Novecento, che non ci ha però lasciato alcuna parola scritta, lo avvicina ancor di più: Monsieur Chouchani, intelletto prodigioso che fu maestro di Elie Wiesel ed Emmanuel Lévinas

Beati coloro che seminano e non mietono

poiché vagheranno più lontano.

Beati i generosi la cui splendida giovinezza aumentò la luce dei giorni e la loro prodigalità

e si spogliarono dei propri ornamenti – sui crocevia.

[…]

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