


Chi scrive è giovane solo per i parametri italiani. Trasecolerebbe se qualcuno lo chiamasse “signore”. Ha la memoria ancora ben legata non alla nostalgia ma agli squilibri di qualche anno fa, alla giovinezza vera e propria in cui non si sapeva bene quale strada prendere perché fin troppe ne erano possibili ed il problema era dove buttarsi con convinzione. Ancora non aveva letto al tempo il Deserto dei Tartari e non era stato accompagnato a meditare con amarezza sul tempo che avanza al limitare del non senso.
Qualche tempo fa con la lettura contemporanea di tre libri molto diversi tra loro c’è stata l’occasione di ripercorrere quella fase giovanile oscillante tra pensieri d’onnipotenza e derive d’inconcludenza. Era incerto se scrivere qualcosa su queste letture perché già molto è stato scritto. Ha deciso di farlo comunque a prescindere dal confronto personale con i testi, che difficilmente interesserebbe altri, per lasciare un suggerimento:
1: Peter Cameron, Un giorno questo dolore ti sarà utile, Adelphi
2: Alberto Ravasio, La vita sessuale di Guglielmo Sputacchiera, Quodlibet
3: Dario Ferrari, La ricreazione è finita, Sellerio
Il caso (o forse no) ha allestito questo terzetto perfetto per un lettore della generazione che, ancora ignara negli anni novanta del declino lento del Paese, si è lanciata baldanzosa nel nuovo millennio per arrivare a convivere mogia mogia con la presenza ammorbante della crisi. Il libro di Cameron mostra un giovane, Kames Sveck, prossimo alla scelta dell’università (sempre che decida di iscriversi) che facilmente ci porta ad un raffronto con Holden Caulfield per l’irrequietezza e forse anche il distacco con cui riesce ad osservare il mondo. Attraversa con leggerezza il suo senso di disagio e disadattamento, l’incertezza che non è ignavia ma voglia di starsene fuori per osservare, vedere senza un eccessivo sforzo. Un rapporto è al centro del libro, un rapporto intergenerazionale con una nonna che pur essendo di una generazione passata non è l’emblema delle convenzioni e della tradizione ma è personificazione di una magnanimità libera e pacata, capace di offrire senza l’imposizione quel poco di stabilità che serve al giovane. Con diverso registro linguistico, comico, il libro di Ravasio indaga un altro giovane, inconcludente e abbruttito. Il libro di Ravasio merita di esser letto a prescindere dall’argomento per la soddisfazione che dà un libro capace di far ridere di gusto (e qui chi scrive si gioca dei riferimenti di tutt’altro tenore rispetto ai confronti con cui la critica lo ha acclamato) come capitava con autori come lo Stefano Benni del Bar Sport o Paolo Villaggio. E’ inutile che si riporti la sinossi, siamo in rete: basta digitare il titolo e si trova tutto quel che si vuole. Quel che è importante è prendere in mano il libro riconoscendogli la dignità di una bella scrittura anche se lontana dal canone.
Canone e bontà della letteratura che si trova avvicinata con diverso spirito ironico nel libro di Dario Ferrari. Il protagonista, Marcello, è un coetaneo di Guglielmo ma è riuscito ad arrivare alla laurea in Lettere. Addirittura accede al dottorato, da alieno. Tutto quello che Ferrari racconta riguardo al mondo accademico è quasi una cronaca di costume (certo di un costume di un gruppo ristretto e aristocratico, forse) volta a mostrare con ironia le bieche dinamiche di potere e narcisismo che si nutrono dei più nobili desideri per la cultura, lo studio, il sapere, calpestati nella dignità. Forse potrebbe essere altrettanto felice un libro simile di ambientazione ma in contesto ecclesiale se qualcuno trovasse il coraggio di scriverlo.
A parte il marcio è Ferrari riesce ad essere divertente in un contesto difficile come può esser stato quello di un dipartimento universitario della Caltech (California Institute of Technology) dove è stata ambientata l’ottima serie The Big Bang Theory. Se gli americani riescono anche noi dovremmo provare!
L’articolo si chiude qui. Rapido. Se qualcuno è rimasto deluso dall’inconsistenza dello scritto l’autore non se ne rammarica perché voleva invitare ad altro.
Su, non guardate il dito…





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