
Probabilmente non sono mai stati fatti studi o rilevazioni a riguardo ma nella “bilancia commerciale” dei resoconti di viaggio in Italia rispetto a quelli dei viaggi degli italiani l’ago della bilancia questa penderebbe decisamente verso i primi.
Trovarsi a vivere in luoghi eletti da altri riempie di un orgoglio spesso vuoto quasi questa scelta altrui, con il suo giudizio di bellezza e bontà, gratificasse nostri meriti. Malattia molto italiana questa tronfiaggine, palesata con frequenza ammorbante dallo slogan dell’80%, 75%, 78,32% del patrimonio culturale mondiale che conserveremmo, stimato al pari di un PIL, guadagnato con la grande e valente prestazione dell’esser nati qui.
Accantonando queste considerazioni scostanti va riconosciuto che la storie dei tanti italiani adottivi o ospiti di riguardo mossi per attrazione offrono un bel percorso sui nostri luoghi, siano essi decadenti palazzi veneziani, casolari spersi dell’Italia centrale o assolate scogliere mediterranee.
In queste poche righe si menziona, così da farne appunto per eventuali altri approfondimenti, il passaggio di un architetto inglese non troppo noto perché all’ombra di giganti: Charles Robert Ashbee. Ascrivibile a quel movimento inglese di reazione creativa e critica alla rivoluzione industriale che è l’Arts & Crafts ne fu tra le figure di maggior rilievo, oscurato solo dal più anziano William Morris con cui condivide l’attività nelle arti applicate, la passione per le lettere e l’editoria. Ashbee fu infatti imprenditore, intellettuale, architetto, artista raffinatissimo nella realizzazione di mobilio e gioielli. Grande viaggiatore, come molti altri membri dell’élite inglese che videro ancora la grandezza dell’Impero, fu negli Stati Uniti, in Italia e alle porte dell’Asia nell’allora mandato britannico della Palestina, dove si dedicò ai progetti di pianificazione di Gerusalemme.
Negli Stati Uniti strinse un’intima amicizia in qualche modo spenta poi da questioni economiche, come diversamente non sarebbe potuto accadere, con un prodigo ed infedele creditore come Frank Lloyd Wright, che ospitò in Inghilterra e che introdusse agli europei con le pagine che aprivano l’edizione europea del famoso Sondhereft Wasmuth, l’edizione più economica del Portfolio dei progetti e realizzazioni a cui Wright lavorò nel suo “esilio” europeo del 1909/1910. Ashbee anticipò di un paio d’anni il soggiorno fiorentino di Wright per scendere in Italia nel 1907, sciolta ormai la sua Guild of Handicraft, acquartierata nel villaggio rurale delle Cotswolds nel Glouchestershire di Chipping Campden. Nel suo viaggio arrivò in Sicilia rimanendone infatuato.1 Lì, a Taormina, fu impegnato per un progetto e lasciò la sua architettura forse più nota: Villa San Giorgio. La Villa, intitolata al patrono d’Inghilterra venne realizzato per l’amico Colonnello Thomas Bradney Shaw-Helleir. Taormina già era da tempo una meta per lunghi soggiorni di viaggiatori europei, un buen retiro esclusivo. Oscar Wilde vi giunse dieci anni prima, nel 1898, fuggendo dall’Inghilterra puritana che lo aveva tenuto nel carcere di Reading negli anni 1896-1897 per la nota condanna per sodomia. Scelse temporaneamente l’Italia per trovare ristoro e vivere più liberamente la sua vita sentimentale. Giunse a Taormina attirato e incuriosito dall’attività, molto nota all’estero, lì perseguita del fotografo tedesco Wilhelm Von Gloeden. Von Gloeden era a Taormina già dal 1878, vent’anni esatti prima di Wilde, giunto a sua volta per tramite del pittore paesaggista tedesco Otto Geleng, sposato con Filomena Zuccaro e da quindici anni in città dove assunse anche il ruolo di pro-sindaco. Von Gloeden nella propria attività di fotografo lavorò molto sul tema del corpo maschile. Le sue scene di nudo che valsero più tardi alla sua opera anche accuse di pornografia, facevano riemergere dalla storia siciliana un tempo antico, quello della Grecia pagana dove l’omosessualità non era scandalo ma affettività naturale. La libertà di vita nel contesto di un mondo preindustriale bucolico anima il desiderio, il sogno, di Wilde di proseguire lì con Alfred Douglas (Bosie), origine principale dei suoi guai giudiziari, una vita insieme. Wilde, come lo stesso Helleir, anche lui sodale del circolo di Von Gloeden, scelsero l’assolata Taormina, frutto di una mescolanza millenaria di culture, come “luogo di delizie” dove godere la vitalità della bellezza dei luoghi ed un vitalismo dell’eros che nei lavori di Von Gloeden certo avevano affascinato anche Ashbee il quale, pur non destando scandalo in patria, non celava la sua omosessualità. Un breve sogno, forse questo, che si accompagna alla nuova aria dell’età edoardiana di inizio secolo che segue il regno morigerato della regina Vittoria e avvicina alla tragedia della Prima Guerra Mondiale.


Ashbee scende con la moglie Janet per seguire un progetto presso la proprietà acquistata dal colonnello a ridosso della chiesa di San Pancrazio, aggiungendo così un nuovo pezzo alla storia della città dal momento che il complesso seicentesco della chiesa sorgeva già sui resti del tempio ellenistico di Giove Serapide. Gli Ashbee si spingono dalle brume fin verso il sole del mezzogiorno andando incontro all’esperienza viva della luminosità mediterranea sperimentata dagli artisti del Grand Tour, e da loro resa mito. Come architetto lascia in città un edificio armonico e composto, ironicamente solleticato nella sua classicità dalla posizione sghemba delle aperture nella facciata d’ingresso. Una composizione sobria e asciuttamente formale, in fondo, come quella della facciata della casa londinese di Lincoln Inn’s Fields del più remoto collega John Soane, segnato nei suoi viaggi dalla luce del Mediterraneo, che si scioglie all’interno in una follia architettonica che sembra una misterica iniziazione alla luce e all’arte.
L’architettura di Villa San Giorgio trova l’eccezionalità nel legame con un luogo paesaggisticamente unico. E’ celebre una foto di Von Gloeden che ritrae il colonnello Shaw-Hellier presso le sedute in pietra sullo sfondo, goduto dalla villa, della visuale di Messina. Sedute che volgono le spalle al mare e che a semicerchio evocano un intimo teatro verso la scena della vasca d’acqua del giardino. Lo stesso orientamento a sud ovest dell’antico teatro greco della città che invece apre ora, nella rovina della scena, alla visuale dell’Etna che altrimenti, senza il lavorio del tempo, sarebbe stata preclusa allo sguardo.
Ora Villa San Giorgio è un hotel di lusso, precluso quindi ai più. Ma anche allora quasi sicuramente era sconosciuto ai più il raffinato lavorio artistico e culturale che aveva il nostro paese come base.
Note:
1Francesca Passalacqua, «Sicily is a laand for Architects». La cultura Arts & Crafts di Charles Robert Ashbee in Sicilia (1907-1909) in Il sud Italia: schizzi e appunti di viaggio. L’interpretazione dell’immagine, la ricerca di una identità, Archistor 5/19, a cura di B. Mussari, G. Scamardì.




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