In questo mese di marzo (2024) è stata riaperta al pubblico la palazzina Masieri di Venezia. Sede della fondazione Angelo Masieri, prende il nome dal giovane architetto udinese che all’indomani del conferimento della laurea honoris causa da parte dello IUAV di Venezia nel 1951 a Frank Lloyd Wright commissionò all’architetto americano una casa per la propria famiglia al posto della vecchio palazzetto affacciato sul Canal Grande già di sua proprietà.

L’edificio originario è ancora in piedi e quello che si può ammirare nel suo riallestimento è il frutto dell’intervento che portò avanti però Carlo Scarpa dal 1968 lavorando solo all’interno del vecchio involucro. Masieri morì a trentuno anni nel giugno del 1952, nel corso del viaggio negli Stati Uniti intrapreso per incontrare Wright, ma la famiglia volle portare avanti il sogno del giovane architetto pensando alla realizzazione di un suo memoriale. Pur potendo godere oggi della pregevole opera di Scarpa resta sempre l’amaro in bocca per l’occasione persa da Wright. Roberta Martinis nella postfazione al libro Frank Lloyd Wright scritto da Robert McCarter e pubblicato in Italia nel 2009 da Bollati Boringhieri, a cinquant’anni dalla morte dell’architetto americano, ripercorre con precisione quella vicenda. E’ una delle grandi occasioni perse di Venezia insieme all’Ospedale di Le Corbusier ed il Palazzo dei Congressi di Louis Kahn. Vicende che si possono ripercorrere con la lettura di Venezia e il moderno, a cura di Maria Bonaiti e Cecilia Rostagni edito da Quodlibet nel 2016.

Bocciato ufficialmente nel 1955 quello di Wright fu il primo tentativo d’irruzione del Moderno in città. Rifiutato dalla Municipalità di Venezia perché evidentemente troppo eversivo per essere accolto in laguna in un luogo speciale, d’altra parte, sul Canal Grande e precisamente in “volta de canal” dirimpetto alla maestosa Ca’ Foscari che il doge Francesco Foscari fece ricostruire a partire dal 1452 sul luogo della vecchia Casa delle Due torri su progetto di Bartolomeo Bon nella forma rigorosamente gotica. Stile, il Gotico, che nella seconda metà del ‘400 era ancora la cifra della Repubblica prima degli scossoni che porteranno al nuovo gusto del secolo successivo del Palazzo Balbi, tra gli altri, a cui la palazzina Masieri si appoggia. Il progetto di Wright non era però così eversivo. Stranamente dialettico con una tradizione locale, rispettoso. Era di certo meno alieno del suo progetto di quegli anni per il Guggenheim di New York che rompeva una regolarità di fronte, forse simile a quella veneziana, della Fifth Avenue non sull’acqua ma sul verde di Central Park. Ma evidentemente si torna a dire era troppo dirompente per Venezia. Dirompente come fu d’altra parte al suo apparire Ca’ Vendramin Calergi (allora Loredan), a firma di Mauro Codussi, che, costruita circa trent’anni dopo Ca’ Foscari, fu il primo segno del nuovo gusto rinascimentale in laguna. Il committente sapeva di poter apparire scandaloso così che si trovò in dovere di far incidere sulla facciata l’excusatio non petitaNon nobis domine” a cui si da per scontata la prosecuzione “sed nomini tuo da gloriam”. Non è il mio per mio vanto che mi mostro così alla città ma per la tua gloria, sembrerebbe giustificarsi. Come proseguirà la vicenda è storia: Jacopo Sansovino dopo essersi mimetizzato inizialmente nelle Procuratie Vecchie si mostrerà “parlando latino” in Piazza San Marco e poi lungo il Canale, verrà poi Palladio con le sue architetture religiose ed il gusto classico non sarà poi così alieno.

Consolazione forse non sufficiente è il fatto che il testimone del progetto Masieri sia passato a Carlo Scarpa. In fondo non è una Nemesi. Scarpa fu allievo originale di Wright, molto più valido nei frutti degli emuli wrightiani formatisi a Taliesin. Una cosa unì negli interessi culturali artistici maestro ed allievo (cosa che in realtà fu sempre idealmente): il Giappone ed il suo spirito estetico, il vangelo della semplificazione, come lo chiamò Wright. Scarpa visitò il Giappone per la prima volta nel 1969, dieci anni dopo la morte di Wright. Electa ha relativamente di recente evidenziato questa affinità pubblicando due titoli: Carlo Scarpa e il Giappone, scritto da J.K. Mauro Pierconti (2007) e Frank Lloyd Wright, Le stampe giapponesi. Una interpretazione, con saggi di Francesco Dal Co e Margo Stipe (2008).

E’ significativo come, a parte Frank Lloyd Wright di Robert McCarter del 2009, ed il catalogo della mostra Frank Lloyd Wright tra America e Italia (2018), l’ultimo nuovo libro su Wright in Italia è proprio questo curato da Francesco Dal Co e Margo Stipe. In Italia sono pochissimi i libri dedicati al maestro dell’architettura organica. Rari nella pubblicazione se confrontati con quelli dedicati ad analoghi “pesi massimi” come Mies van der Rohe o Le Corbusier. Forse questa recente scarsa fortuna critica sembra avvalorare quello che Wright pensava della sua opera come sempre osteggiata dall’accademia e dalla critica. Cosa che si appuntava come una medaglia al petto anziché occasione di frustrazione perché era in ballo “la verità contro il mondo” come insegnava ad inseguire il motto della sua famiglia materna.

Nell’aprile entrante ricorreranno i sessantacinque anni dalla morte di Wright, forse una cifra non così tonda da meritare molte celebrazioni ma che sia almeno occasione di qualche nuova riflessione.

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