Nel 2024 è stato l’anno del centenario del delitto Matteotti. Alcune iniziative editoriali, e non solo, hanno avuto il merito di andare oltre la figura del morto, dell’assassinato (magari anche incauto) che aveva avuto il coraggio di denunciare le irregolarità e la violenza fascista riportando alla luce invece una vita politica appassionata rimasta all’ombra dell’eclatante discorso parlamentare e del successivo assassinio del 10 giugno 1924 a Roma. Tra queste un libro: Antonio Funiciello, La vita (e non la morte) di Giacomo Matteotti, Rizzoli ed una mostra tenuta a Rovigo: Giacomo Matteotti. Una storia di tutti

Quasi esattamente due anni prima, il 24 giugno 1922, moriva assassinato a Berlino per mano di estremisti di destra Walther Rathenau, allora ministro degli esteri della Repubblica di Weimar. Le due vicende hanno un evidente parallelismo: due uccisioni politiche (più di trecento furono quelle avvenute in Germania tra il 1918 ed il 1922 secondo il libro di Emil Gumbel Vier Jahre politischer Mord del 1922), la prima di chi aveva denunciato un fascismo già al potere che stava imboccando la via totalitaria e la seconda di chi stava vivendo il travaglio della Repubblica succeduta al Reich prussiano che avrebbe ceduto il passo nel 1933 al regime nazista instauratore del nuovo Reich, grande o millenario nelle definizioni datesi.

Walther Rathenau è un personaggio di straordinario interesse, narrabile a partire da diverse angolazioni dal momento che uno dei suoi caratteri principali è la multiforme complessità e l’ambiguità. La nota che qui seguirà è solo una breve tratteggio che meriterebbe ben altro respiro. La sua unica biografia tradotta in italiano è quella scritta da Harry Graf Kessler, originariamente pubblicata nel 1928, edita in Italia da Il Mulino nel 1995 e oggi purtroppo introvabile. Kessler fu amico di Rathenau, se il termine amico può essere confacente per il distacco o la diplomatica vicinanza che egli teneva con le persone, e ci restituisce una biografia nutrita di conoscenza personale e dell’accesso alle infinite carte del politico non costruita di date, fatti ed elenchi ma tesa ad indagare lo spirito del protagonista, eroe di una tragedia.

Kessler, parigino di nascita di padre prussiano e madre irlandese, educato a Eton, era un tedesco cosmopolita con l’indole anglosassone distaccata che, se è concesso, non gli permetteva di prendersi troppo sul serio. Ne scaturiva un carattere quasi dilettantesco che lo faceva essere in parte letterato ed in parte politico, mai assorbito totalmente in un solo ruolo, e sempre sullo sfondo di una vita da dandy, come sembrerebbe mostrare anche un ritratto del 1906 che gli fece Edvard Munch, coinvolto in un’ampia rete di relazioni e amicizie nel mondo artistico e letterario delle capitali europee. La dedizione alle lettere potrebbe ricordare a scala minore la figura di Winston Churchill, politico per antonomasia ma in realtà anche prolifico scrittore sulla cui vittoria del Nobel per la letteratura nel 1953 aleggia una pregiudiziale perplessità sull’effettivo merito almeno pari a quella verso il premio Nobel 2009 per la Pace alle intenzioni del presidente americano Barack Obama.

Ma se multiforme fu il biografo Kessler ben più lo fu il biografato Walther Rathenau. Figlio del fondatore della AEG, Emil, e prosecutore della sua iniziativa imprenditoriale, nonché di molte altre tanto da prender parte nel corso della sua carriera a quasi cento consigli di amministrazione, così scrive in una lettera alla signora von Hindenburg, nata contessa Münster: 

La mia attività economica mi dà molte soddisfazioni, quella letteraria è per me una necessità vitale, per cui intraprenderne una terza – quella politica – non solo supererebbe le mie forze, ma andrebbe anche oltre quelle che sono le mie reali inclinazioni.

La storia dimostrerà il contrario perché Rathenau, ambizioso e mosso da un intelletto di grande levatura, percorrerà una fulminante carriera politica a partire dalla prima guerra mondiale pur partendo dalla constatazione che l’essere ebreo, e quindi cittadino sempre e comunque di seconda classe, sarebbe stato per lui un motivo ostativo. L’ebraismo è uno dei nodi principali del dramma di Rathenau, causa prima di una precarietà esistenziale e in definitiva sua condanna a morte. Esemplare prefigurazione di quel suicidio culturale e sociale del mondo tedesco che si avvierà negli anni ‘30 del Novecento. La biografia di Kessler indaga principalmente l’umanità di Rathenau e la sua dimensione politico-economica che gli attirerà odio e riprovazione quando da Ministro della Ricostruzione prima e Ministro degli esteri dopo verrà costantemente accusato di essere causa dell’umiliazione e della grave crisi tedesca seguita alla sconfitta militare del 1918.

L’ambiguità dell’uomo è la chiave di lettura più spesso associata a Rathenau: politico su cui si nutre dubbi circa il reale impegno per il bene del Paese anziché il proprio, servitore dello stato anziché uomo ambizioso, imprenditore avido anziché intellettuale impegnato sulla via di un percorso di ricerca spirituale, ebreo che sogna di essere cristiano e che si sente ispirato dai vangeli o tedesco prima di tutto, riformatore sociale e socialista ma che regge con pugno duro migliaia di lavoratori… Molti conflitti aperti nell’uomo che riconosce nella storia del suo popolo un lungo percorso originato dalla paura che distilla un intelletto acuto come unica arma per dissiparla. Una razza bruna e intellettuale in conflitto con una razza bionda di padroni coraggiosa e non spirituale verso cui sente di parteggiare, in una visione della storia che arriva pericolosamente vicino ai temi della retorica apertamente antisemita come nel suo aforisma della “tragedia della razza ariana”:

Un meraviglioso popolo biondo nasce nel nord. Esuberante e fecondo, si volge a ondate verso sud. Ogni migrazione si trasforma in una conquista, ed ogni conquista in un arricchimento della civiltà e della cultura. Ma con l’aumento della popolazione mondiale i popoli bruni si avvicinano sempre di più, mentre lo spazio a disposizione degli uomini si restringe. Finalmente un trionfo del sud: una religione orientale si diffonde nei paesi del nord, che si difendono grazie all’antica etica del coraggio. Da ultimo, il pericolo più grande: la cultura tecnica conquista il mondo, e con essa ha inizio il potere della paura, della mera intelligenza e dell’astuzia incarnate nella democrazia e nel capitale.

Con la profondità storica di ciò che poi avvenne non possono non far sobbalzare queste parole di un ebreo tedesco comunque fedele all’identità del suo popolo che gli impedì un’aperta conversione al cristianesimo, soluzione per la quale in quegli anni propendette ad esempio Karl Krauss, che sarebbe stata motivo di ulteriori discriminazioni per gli ebrei tedeschi. Gli ebrei sono il sale della terra, è vero, – ebbe a dire con un’espressione evangelica [sale della terra ma non luce del mondo!] – ma voi certo non ignorate quel che succede quando si abusa del sale. 

La questione ebraica è il nodo principale dell’uomo. Stefan Zweig, che lo conobbe in principio come autore di mirabili aforismi firmati con pseudonimo, intrattenne con lui, impressionato dalla sua soverchiante intelligenza, un rapporto di cordiale amicizia e così lo ricorda:

In tale abbacinante limpidezza, in tale cristallina lucidità di pensiero, c’era tuttavia qualcosa che ispirava un senso di disagio, al pari dei mobili lussuosi  e degli splendidi dipinti che aveva nel suo appartamento. La sua mente era un meccanismo perfettamente congegnato […] C’era nel suo pensiero un che di vitreo, di trasparente, e perciò privo di sostanza. Raramente ho avvertito la tragedia dell’uomo ebreo più fortemente che in lui, nella sua profonda inquietudine celata da un’apparente sicurezza. […] Tutta la sua esistenza era un eterno conflitto fra sempre nuove contraddizioni. Aveva ereditato ogni fortuna immaginabile dal padre ma non voleva essere un ereditiero; era un uomo d’affari ma desiderava sentirsi un artista; era milionario ma s’interessava di socialismo; si sentiva ebreo ma guardava con curiosità al cristianesimo; aveva ideali internazionali ma esaltava il prussianesimo.

Parole non molto diverse saranno usate per descriverlo attraverso il personaggio calco di Arnheim da Robert Musil ne L’uomo senza qualità. Rathenau era davvero, come scrive sempre Musil in filigrana, “un uomo di grande formato”, simbolo tragico e quasi figura biblica del sacrificio. La storia del Novecento passa per la sua figura di ebreo tedesco patriota nello spirito (non nazionalista) che sognava una realtà giuridica sovranazionale e paneuropea. Quando da Ministro degli Esteri finalmente era riuscito a recuperare credibilità per il proprio Paese per poter parlare con autorevolezza con le altre potenze europee alla Conferenza di Genova del 1922 rivolse appassionate e commoventi parole, sentendo ormai prossima la propria fine per il montare di un turbolento nazionalismo, concludendo il suo discorso nella seduta conclusiva con le parole di Petrarca: “Io vo gridando pace e pace e pace!”.

La conferenza si chiuse a maggio e a giugno Rathenau morì assassinato, muovendo il giovane Elias Canetti, testimone della manifestazione popolare a Francoforte contro il suo l’assassinio, dentro un’esperienza di partecipazione alla vita della “Massa” che lo porterà per decenni ad indagare l’argomento dei rapporti tra questa con le dinamiche di potere che travolgeranno il Novecento. 

Il “grande formato” dell’uomo lascia anche legami con altri e interessanti ambiti dell’arte oltre alla letteratura. Rathenau fu anche un pittore e architetto dilettante ma non principiante. Curò personalmente il progetto per la sua casa nel Grunewald ed il restauro del castello di Freienwalde, che acquistò per essere prossimo all’aristocrazia del Reich, tenendo a mente il gusto classico del suo architetto preferito Friedrich Gilly, coevo di Schinkel. All’AEG si lega poi uno dei progetti più significativi dell’architettura dell’avvio del secolo: la fabbrica delle turbine di Berlino realizzata da Peter Behrens (1908) a cui Rathenau affidò il ruolo, allora sconosciuto, di industrial designer per un progetto coordinato dell’azienda che andava dagli edifici alla grafica. Sarebbe strano pensare che Rathenau, ben edotto in architettura, non abbia avuto voce in capitolo nel progetto di questa grande fabbrica evocativa nelle forme di un nuovo tempio della modernità.

La storia anche qui ha una macabra ironia. Rathenau durante la guerra fu incaricato, per sopperire alle gravi mancanze di preparazione della macchina bellica tedesca, di organizzare e dirigere l’Ufficio delle materie prime di guerra. Doveva gestire quindi forniture, approvvigionamenti e armamenti in un ruolo molto simile a quello che quasi trent’anni dopo ebbe un architetto professionista chiamato in politica per precettazione del Furher: Albert Speer, uomo molto più scaltro e senza conflitti interiori e di coscienza che riuscì ad uscire quasi indenne da Norimberga facendosi passare per innocente “buon” nazista.

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