E’ capitato di recente a chi scrive di imbattersi in un libro che nascondeva un gradevole Ex libris. Un libro non antico ma vecchio. Vecchio a sufficienza per essere sopravvissuto al suo proprietario e proseguire orfano la sua vita. Sì perché c’è da essere quasi certi che quel libro provenisse dalla libreria di un morto e messa in liquidazione. Ci sono poche altre alternative alla circolazione di un libro con ex libris: un furto, un prestito concesso ad amico infedele o la sciagura economica da dover contenere con la dismissione di ogni prezioso. Chi si fregia di un ex libris o è un vanitoso, una persona che ama adularsi concedendosi un sigillo di sapore araldico al pari delle iniziali ricamate sulla camicia, o vive proprio nel culto del libro e, in questo caso, non lo cederebbe mai.

Del culto dei libri può istruirci ancora e ancora Borges che così intitola una breve nota raccolta in Altre inquisizioni che anticipa L’artefice nel concludere il primo volume della raccolta completa delle sue opere edita ne I Meridiani, fedelmente seguita nel progetto di lettura continuativa annunciato qui in un articolo dello scorso 16 marzo (vedi articolo) a 125 anni dalla morte dello scrittore.

Nell’ottavo libro dell’Odissea si legge che gli dèi tessono disgrazie affinché alle future generazioni non manchi di che cantare; l’affermazione di Mallarmé: Il mondo esiste per approdare a un libro, sembra ripetere, trenta secoli dopo, lo stesso concetto di una giustificazione estetica dei mali. Le due teologie, tuttavia, non coincidono interamente; quella del greco corrisponde all’epoca della parola orale, e quella del francese, a un’epoca della parola scritta. In una si parla di cantare e nell’altra di libri. Un libro, qualunque libro, e per noi un oggetto sacro;

[…]

alla fine del IV cominciò il processo mentale che, dopo molte generazioni, sarebbe culminato nel predominio della parola scritta su quella parlata, della penna sulla voce. Un mirabile caso ha voluto che uno scrittore fissasse l’istante (esagero appena chiamandolo istante) in cui ebbe principio il vasto processo. Narra Sant’Agostino, nel libro sesto delle Confessioni: “Quando Ambrogio leggeva, faceva scorrere lo sguardo sulle pagine penetrando il loro significato, senza proferire una parola né muovere la lingua. Molte volte – poiché a nessuno si proibiva di entrare, né c’era costume di annunciargli chi venisse – lo vedemmo leggere tacitamente e mai in altro modo, e dopo qualche tempo ce ne andavamo, ritenendo che quel breve intervallo che gli era concesso per ristorare il suo spirito, lungi dal tumulto degli altrui negozî, non voleva egli che glielo occupassero con qualche altra cosa, timoroso forse che un ascoltatore, attento alle difficoltà del testo, gli chiedesse spiegazione di un passo oscuro o volesse discuterlo con lui, ché con ciò non avrebbe potuto leggere tanti libri quanti desiderava.[…]”.

Borges fa scatuire dalla lettura silente di Sant’Ambrogio l’avvio del culto del libro non proclamato ma accolto personalmente nell’intimo sostare “lungi dal tumulto di altrui negozi” che sembra voler dire in anticipo di più di mille anni le stesse parole del chierico Tommaso da Kempis:

In omnibus requiem quaesivi et nusquam inveni nisi in angulo cum libro

[Ho cercato ovunque la pace e non l’ho trovata da nessuna parte se non in un angolo con un libro]

Parole, queste del monaco e mistico, che Umberto Eco riporta, diffondendole in milioni di pagine, ne Il nome della rosa dove un altero bibliotecario, custode geloso fino alla morte [sono concessi spoiler?], protegge i suoi libri, o il suo libro più prezioso, con ogni mezzo. Bibliotecario costruito da Eco, si sa, come omaggio a Borges che paradossalmente nella sua maturità dovette abbandonare il libro in lettura silente e dovette recuperare la voce non potendo più stare da solo in angulo cum libro ma semmai al buio in angulo cum memoria libri. Per inciso, non ci inganni Eco o la visione del film omonimo del 1986 di Annaud, il vero Borges aveva animo e tratti più gentili del severo Jorge da Burgos, un viso mite che forse solo un disegno di Tullio Pericoli, maestro di ritratti e paesaggi, riuscirebbe a cogliere nel profondo avendo sullo sfondo le parole dell’epilogo de L’artefice:

Un uomo si propone il compito di disegnare il mondo. Trascorrendo gli anni, popola uno spazio con immagini di province, di regni, di montagne, di baie, di navi, d’isole, di pesci, di dimore, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone. Poco prima di morire, scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l’immagine del suo volto.

Ma tornando ai religiosi che vivono di libri, da Tommaso da Kempis, autore tra l’altro del De imitatione Christi, torniamo indietro al San Girolamo traduttore della Scrittura ma non al San Girolamo smunto asceta in grotta ma al Dottore intento al lavoro. Antonello da Messina lo ritrae all’interno di una vasta cornice architettonica di cui non vediamo il limite, al centro ma al tempo stesso all’angolo di una postazione da scrittorio con il libro in mano investito lateralmente dalla luce che viene dall’osservatore come fosse in nicchia, non perso nel vuoto, ma saldo nelle carte. In angulo cum libro. Tale postura del lettore persiste e ha contribuito a tramandarla negli anni sessanta del ‘900 l’architetto Louis I. Kahn nel progetto per la biblioteca della Philips Exeter Academy in New Hampshire, forse la più memorabile biblioteca moderna, esemplare nell’instaurare con il libro una dialettica che non è raccolta e servizio ma accoglienza nello stupore, meraviglia ed intimità della lettura, in pace in un angolo. In angulo cum libro.

Un ex libris IN ANGULO CUM LIBRO? Consigliabile nella sua umiltà perché al centro della piazza, trionfanti sopra un cavallo, c’è troppa folla.

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