Ormai due anni fa uscì per Sellerio un gustosissimo libro di Dario Ferrari che raccontava con una chiave ironica e satirica il mondo universitario tra baroni e dottorandi. Il libro era La ricreazione è finita. Per chi non l’avesse letto, soprattutto se compreso nella fascia d’età 30/45, se ne consiglia caldamente la lettura.

Seguendo a ruota una delle nostre precedenti letture (Manuel Orazi, Vite stravaganti di architetti) abbiamo apprezzato Leggere l’architettura, scrivere la storia. Intervista a Giorgio Ciucci curata da Gabriele Mastrigli e Manuel Orazi ed edita da LetteraVentidue. Dalle vite delineate per ritratti sintetici del precedente libro di Manuel Orazi, dove c’erano anche storici e non solo progettisti, si passa ad un’altra vita raccontata questa volta non in contumacia. L’indagato è il professor Giorgio Ciucci, che risponde con grande apertura alle domande. Il libro riavvicina quel mondo del romanzo di Dario Ferrari (ecco il perché delle prime righe), non certo con la medesima carica ironica ma comunque con un tono di familiare colloquialità che ci lascia immaginare gli intervistatori e l’ospite, storici e critici dell’architettura, seduti su dei comodi divani a parlare in un ozioso pomeriggio romano ripercorrendo tratti di diverse generazioni di loro colleghi. Il luogo dell’intervista non è quello dell’accademia infatti, ce lo ricordano i riferimenti ai luoghi della casa di Ciucci dove avviene il dialogo: si parla del libro poggiato lì, del quadro appeso di là e vengono mescolate vicende personali a professionali tra un “Ti ricordi di…?” o “Hai mai conosciuto…?”.

Mastrigli, Orazi e soprattutto, per anzianità, Ciucci vengono da quell’ambiente universitario amorevolmente bistrattato da Ferrari, quel mondo che assomiglia forse in alcuni casi più ad una direzione PD che non al mondo del gioco delle perle di vetro raccontato da Herman Hesse, Castalia. Ovviamente il piacere della lettura di questo libro è maggiore per chi quel contesto lo ha conosciuto o almeno sfiorato, chi ha vissuto la facoltà di architettura di Roma Tre o lo IUAV di Venezia. Smitizzanti e curiosi i passaggi in cui Giorgio Ciucci, tra i maggiori storici dell’architettura italiani, ci parla dal di dentro dei suoi incontri, dei suoi amici e dei colleghi, parlando di un giovane Dal Co enfant prodige scalpitante, un organizzatissimo Cacciari ben comprensibile nel parlare quanto ostico alla lettura, il carismatico Peter Eisenman con cui ha incrinato il rapporto per un eccesso di sincerità in un suo commento critico e soprattutto di Manfredo Tafuri.

Non vogliamo sprecare le poche righe di questa nota per snocciolare la carriera di Ciucci e cercare di far ordine ai temi dell’intervista. Non ne saremmo in grado senza peccare di approssimazione. La traccia per un percorso alla ricerca della biografia intellettuale di Giorgio Ciucci lo si può scoprire solo con la lettura dell’intervista. Chi scrive questa nota non ha molti elementi in più rispetto a quelli che raccoglie dal libro rimanendo da subito colpito dalla scoperta biografica di un intellettuale proveniente da una certa “aristocrazia del censo” orientata al lavoro culturale, e certo non cafona, approdato a quella sinistra comunista che da metà del secolo scorso ha forse strutturato la cultura italiana. Chi scrive ha solo da aggiungere una piccola nota personale per confermare la cordialità di Ciucci percepibile nel volume. Non troppo tempo fa pubblicai [si può passare alla prima persona?] un saggio su un tema caro a Ciucci. Il saggio era accompagnato da alcune immagini. Alcune, non molte. Il libro arrivò tramite l’editore alla sua scrivania e dopo un po’ di tempo il professore rispose con cordialità muovendo apprezzamento e, non mancando di sincerità, manifestando il rincrescimento di non aver trovato abbastanza immagini ad accompagnare il discorso. In Leggere l’architettura, scrivere la storia. Intervista a Giorgio Ciucci ci sono dei passaggi in cui si parla proprio della sua attenzione al rapporto tra testo e immagine anche nella collaborazione con Massimo Scolari e questo ha risvegliato il ricordo di quella lettera e della conferma alla convinzione che le persone davvero “grandi” hanno la magnanimità e la disponibilità al confronto e alla condivisione con chiunque. Non hanno bisogno di atteggiarsi come non lo ha un re d’Inghilterra che in una passeggiata romana veste molto più sobriamente di un neolaureato (con lode, per carità!) ministro italiano. Tornando al personale io, che romanamente e “Bellamente” direi che voi siete voi e io non sono un… ricordo con piacere che anni fa a partire da un altro libro trovai la piacevolezza di un breve scambio epistolare ed alcune telefonate con un certo Vittorio Gregotti, di cui una divertentissima in cui il vecchio architetto se la rideva dell’allora Presidente del Consiglio che aveva in mente grandi idee per le periferie italiane. Non si arrivò ad un incontro personale solo per motivi contingenti ma va celebrata la disponibilità di un anziano maestro a dedicare tempo a chi vuol disturbarlo.

Accantonando la patetica parentesi personale torniamo a dire che poco sopra si parlava del dialogo tra storici dell’architettura. In un passaggio Ciucci si definisce più come uno che “si occupa di Storia” trovando un Orazi pronto a prendere in prestito l’espressione. Non si ravvisa in questa espressione usata l’oggetto della critica che Elias Canetti fa in La missione dello scrittore, uno dei saggi contenuti ne La Coscienza delle parole. Saggi, Adelphi, dove deplora coloro che cercano di marcare una differenza ed una posizione di compiaciuto distacco definendosi “uno che scrive” invece di, coscientemente e con responsabilità, scrittore (nel testo originale in realtà Dichter/poeta). Forse l’intenzione di Ciucci è quella di non racchiudere i suoi studi nell’ambito di una restrittiva immagine dello storico come cronachista ma di mettere lo studio della storia e la critica all’interno del più ampio campo di lavoro dell’architetto. Sul ruolo della storia in Italia si può e si discute giustamente all’infinito, tale è il suo portato culturale ma Ciucci appare comunque sempre intenzionato a non farne tema settoriale. Si veda a riguardo la sua esperienza di partecipazione al CISA Palladio da dove si è allontanato quando il rapporto con la contemporaneità si andava interrompendo con figure di diversa formazione, come il recentemente scomparso professor Howard Burns. La storia è per Ciucci ricostruzione, indagine, rilettura, critica, confronto. Non è casuale che riguardo Manfredo Tafuri, collega presentissimo nel libro e sul quale aleggia la mesta aura del gigante scomparso anzitempo – come il suo sosia, quando ancora i capelli e la barba non erano cresciuti [licenza personale], Leone Ginzburg – si parli spesso di progetto storico o storiografico in senso ampio. La storia non può ridursi ad un definitivo risoluto ordine dove tutto si compone, la lineare esposizione di una vicenda unitaria.

La Verità non è tema della storia. La parola stessa è pericolosa, o quantomeno falsa, quando esposta ai quattro venti come in testate e canali che possono avere nomi come La Verità, Truth, Pravda. 

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