Haim Ben-Abraham è un medico, torinese di nascita, che coltiva l’antica tradizione ebraica del midrash. Un uomo, quindi, che pur animando un gruppo di studio e d’interpretazione del testo biblico vive lontano dalla torre d’avorio lavorando nella concretezza più immediata dell’uomo e della donna in carne, ossa e sangue. La vita “reale” e la dimensione testuale sono i suoi due polmoni e chi prende in mano il suo ultimo libro può sperimentare quanto il concreto di un’attualità possa legarsi alla profondità di un pensiero e di una tradizione antica se coltivata non come un’ideologia ormai stanca ma creativamente, lasciando che sia ancora una sorgente viva anziché una pozza putrida.

E’ bene che il lettore che si avvicina al libro di Haim Ben-Abraham, Cercando l’aria, Giuntina 2025, abbia letto il suo precedente La via delle api. I due libri costituiscono un dittico. Saremmo tentati di dirli complementari. Lo facciamo dopo aver letto il primo volume con la presunzione di averne colto alcune indicazioni e stimolati da una riflessione sui colori scelti per le copertine dei due volumi nella classica impaginazione della collana “Schulim Vogelmann” per cui escono. Complementari i libri, abbiamo pensato per cominciare con estro questa nota, complementari allora anche i colori! Un sano dubbio però ci ha fatto controllare l’intuizione che si è dimostrata alla fine sbagliata e poggiante su niente di solido. Il colore del nuovo volume, il ciano/celeste, avrebbe dovuto essere di un più scuro blu cobalto se la nostra logica di interpretazione delle scelte editoriali fosse stata quella corretta. C’è quindi uno scarto in questa lettura che arbitrariamente avevamo voluto imporre. Nell’errata lettura delle copertine (sarebbe stato molto più facile pensare che il giallo intenso del primo libro evocasse il giallo dell’ape o del miele dorato, mentre il celeste del secondo fosse un richiamo all’aria…) abbiamo fatto un passo falso. Questo errore, questo scarto, lo prendiamo come un gioco per entrare nella stimolante lettura del libro perché, come già l’autore ci aveva insegnato, il midrash si muove creativamente nel testo, facendo rimare versi, cercando appigli, siano essi nei dettagli che ci sono o in quelli che mancano. La scarsa rilevanza del colore delle copertine forse ci suggeriscono così, citando Cercando l’aria, che il “pensiero di Gerusalemme […] è un pensiero dell’orecchio” non “dell’occhio come quello di Atene.” E’ chiaro che questa frase può essere sibillina per chi non ha seguito il percorso proposto da Haim Ben-Abraham ma si può però facilmente rimediare con la lettura dei due preziosi volumetti. Il pensiero di Atene, quello della filosofia occidentale, ed il pensiero di Gerusalemme, quello della tradizione ebraica, non hanno la stessa prospettiva e quasi in conclusione del libro ci si interroga: “Perché resta ancora aperto il baratro che si è aperto, duemila anni fa, fra due gruppi di lettori? Fra chi legge per capire – nel senso di penetrare, svelare, il significato primordiale, vero di un testo; e chi legge per creare – usando il testo, dialogando con esso, senza pretese di possesso, senza pretese di avere le chiavi del regno […]?”

I due poli di Atene e Gerusalemme, posti nella loro distanza di pensiero già nel volume precedente, dove si evidenziava come la tradizione filosofica europea avesse tenuto a debita distanza il pensiero ebraico, qui sono ancora di più tema di approfondimento in un confronto che mostra la reciproca differenza che non è stata in grado di farsi dialogante, almeno fino ad oggi. Una distanza di posizioni dove gli eredi di Atene hanno posto il primato della conoscenza del filosofo, dei suoi ideali, del suo pensiero metafisico che guarda all’alto dell’esistenza ma non al basso dell’esistente, quello dell’uomo di carne e sangue, arrivando all’estremo dramma della cancellazione dell’altro, del pensiero di Gerusalemme che “avrebbe potuto curare l’Europa sull’orlo del disastro” nello scorso secolo.

Ripartendo con ordine: il libro prende avvio sottolineando l’aspetto sonoro della parola ed il suo carattere fisico nel muoversi attraverso la leggerezza dell’aria, che è suo mezzo. Si concentra sull’aspetto uditivo e sulla lettura che è espressione vibrante della voce nell’aria, non il solitario scrutare con l’occhio. Sin da subito l’autore ci porta a leggere la frattura che si apre tra la sapienza biblica del molteplice e del cangiante contro la filosofia dell’immutabile metafisico di Parmenide, Talete, Platone e Kant. Dalla Babele di “una lingua una e parole une” presto ci troviamo nell’Egitto (Mitzrayim), letteralmente luogo “dalle strettezze”, luogo chiuso dove l’aria manca, dove la parola non può espandersi. Ne usciremo idealmente con la parola che Ytzchaq Luria, cabbalista del sedicesimo secolo, ricrea rompendo la parola Pesach (Pasqua/passaggio) trovandovi pe e sach, letteralmente una bocca che parla. La parola che trova il suo spazio libera al discorso contro le costrizioni dell’uno e delle sue schiavitù. Il discorso crea e fa relazione e per questo molto rilevante nel libro è l’attenzione al tema della dualità e del rapporto tra uomo e donna, tra la supposta caduta dall’ideale androgino della tradizione greca, come degradazione e perdita, alla ricchezza della trasformazione dell’umanità di Adam in maschio e femmina. L’“eros che per l’ateniese era sventura, è qui [nel pensiero biblico] visto come il bene a cui tendere per essere completi.” Nella differenza quindi l’autore svela il pensiero di una minaccia all’armonia, un pericoloso appiglio per l’intolleranza e la sopraffazione.

Buona parte del libro nelle sue critiche ai classici troverebbe un buon interlocutore ne Il demone della nostalgia di Mauro Bonazzi, uscito in contemporanea, a cui abbiamo già dedicato attenzione. Bonazzi ha intitolato un capitolo del suo saggio “Atene o Gerusalemme? Leggere Omero in esilio” e lì vi coinvolge nella riflessione la filosofa Rachel Bespaloff, discepola di Leon Chestov, autore di quell’Atene e Gerusalemme del 1938 che Ben-Abraham coinvolge a sua volta, insieme alla Bespaloff stessa, nel suo percorso di riflessione dal midrash alla sfera politica, la sfera delle relazioni del vivere sociale.

Non possiamo dire che Cercando l’aria sia un controdiscorso di censura e cancellazione della sapienza di Atene, fondamento di un discorso di razionalità sempre più stringente per l’innalzamento dell’ideologico contro il concreto, quell’eccesso che diventa insana utopia dove coloro che la perseguono, citando Rodolfo Wilcock, “non badano ai mezzi; pur di rendere felice l’uomo sono pronti a ucciderlo, torturarlo, incinerarlo, esiliarlo, sterilizzarlo, squartarlo, lobotomizzarlo, elettrizzarlo, mandarlo in guerra, bombardarlo, eccetera: dipende dal piano”, semmai un’invocazione alla relazione. Lo testimonia l’estratto in fondo al libro del dialogo avuto con la filosofa Adriana Cavarero, sua interlocutrice di primaria importanza. Si leggano con attenzione quelle poche pagine perché forse mostrano una piccola fenditura dove scorgere il movimento di chiusura di quel “ baratro che si è aperto, duemila anni fa, fra due gruppi di lettori.” Ateniesi o Gerosolimitani che siate, ripetiamo l’invito: si leggano questi due libri.

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