Non siamo soliti parlare di politica, almeno non direttamente, ma dovremmo averne timore? Non compone anch’essa il panorama culturale?
Due settimane fa esatte, il 13 ottobre, abbiamo assistito ad un discorso di un presidente degli Stati Uniti di fronte al parlamento israeliano che, nel celebrare la giusta soddisfazione per una cessazione della guerra, aveva del farsesco. Uno spettacolo di ironia, tragica ironia o forse solo tronfia, consona per una manifestazione strapaesana, interrotta solo dal lampo di protesta di due parlamentari (Ayman Odeh e Ofer Cassif) acquietato in pochi istanti. L’encomio per i protagonisti delle trattative si è mescolato ad un parossistico senso del ridicolo:
Sapete, [il presidente indica il capo dell’IDF Eyal Zamir] quel tipo è perfetto per il ruolo. Mettiamolo in un film. Guardatelo. Ottimo lavoro […] E con l’operazione Midnight Hammer – cavolo, è un nome fantastico per quello che abbiamo fatto – lo scorso giugno, l’esercito degli Stati Uniti ha fatto volare sette di quei bellissimi bombardieri B-2. All’improvviso sembravano così belli. Lo sono sempre stati, ho sempre pensato che fossero aerei molto belli. Non avevo idea che potessero fare quello che hanno fatto. Infatti, ne abbiamo appena ordinati altri 28. Una versione leggermente aggiornata. Ne abbiamo ordinati un bel po’.
[…]
E con loro sono partiti quasi altri 100 aerei, compresi i caccia, e avevamo 52 aerei cisterna, grandi, bellissimi e nuovissimi, che li rifornivano quattro o cinque volte. Hanno viaggiato 37 ore avanti e indietro. Pensateci. Ma avevamo aerei cisterna in tutto il cielo per tutti gli altri aerei. Avevamo gli F-22, gli F-35, F-16. Avevamo un sacco di aerei. [Parlando poi del generale americano Caine] Sono sceso, lui era in piedi con un altro generale e un sergente. Sembravano tutti usciti da un casting. Potrebbero recitare in un film, proprio ora. Tra lui e voi ragazzi qui, potremmo diventare ricchi facendo film, ok?
Al centro di una regione segnata da sofferenze e la semina di un odio che non si è certo spento è stato tenuto un discorso che sarebbe stata una divertente chiacchiera da bar di uno spaccone di successo, se non si parlasse di morti. Un discorso che avrebbe più opportunamente tenuto l’immaginario presidente Benson interpretato da Lloyd Bridges in Hot Shots!, film del filone parodistico nato in risposta all’affascinante e valoroso Top Gun. Militari in divisa che sembrano personaggi dei film come se finora si fosse recitato. Probabilmente nella mente del presidente è scorso un grande western con “i nostri” ad arrivare rombanti a cavallo. Lo scollamento con la realtà è evidente, la narrazione la ignora per farne spettacolo, propaganda. Se in passato abbiamo citato un libro di Stefan Zweig che a nostro avviso faceva risuonare atmosfere di un passato che sembrava paurosamente tornare attuale, ora, per reagire a parole così tristemente celebrative della bellezza di una macchina da guerra, ci viene da pensare ad una voce sua contemporanea e conterranea: Karl Kraus.

Non certo rasserenante, e non certo sempre politicamente corretta, la sua voce avrebbe bisogno di essere riascoltata. Voce quasi unica che si levò con forza contro l’innamoramento per una guerra, la prima guerra mondiale, che sappiamo cosa inaugurò. Segnaliamo questo piccolo libriccino: Karl Kraus, In questa grande epoca, Marsilio, 2018, curato ed introdotto da un pregevole scritto di Irene Fantappiè. Il testo, modesto per estensione, fu al centro di una delle cinquecento letture pubbliche che Kraus tenne a Vienna, nella Konzerthaus, infiammandola. Segnò la ripresa della sua parola nel novembre del 1914 dopo che lo scoppio della guerra nel luglio di quello stesso anno lo fece subito ammutolire. Un mese dopo costituirà un numero monografico della Fackel, la sua rivista, per confluire poi nella fluviale tragedia de Gli ultimi giorni dell’umanità, un’opera teatrale irrappresentabile. In rete si può trovare un mirabile adattamento per la regia di Luca Ronconi del 1991 [qui il collegamento] in cui sentiamo il frastuono delle voci del giornalismo propagandistico e dell’entusiasmo ottuso degli invasati della guerra contrapposto all’altrettanto combattiva voce del criticone, così l’autore chiama il personaggio suo alter ego che viene interpretato dall’attore Massimo De Francovich. Con o senza i venti di guerra che spirano la voce di Kraus sembra scorrere profetica, annunciando già il dominio della tecnica, il problema della parola piegata all’interesse, la comunicazione che travia i fatti e che anzi si sostituisce ad essi, una dinamica che lui vedeva nell’editoria tradizionale, nella stampa ma che non farebbe fatica a riconoscere ora moltiplicata nei suoi effetti frastornanti nella moltiplicazione della comunicazione apparentemente orizzontale e democratica della rete. Facciamo parlare degli estratti:
In questa grande epoca, che io ho conosciuto quando era ancora cosı̀ piccola, e che diventerà nuovamente piccola se gliene resta ancora il tempo e che noi, poiché nel mondo dello sviluppo organico una siffatta trasformazione non è possibile, preferiamo chiamare un’epoca grossa e davvero anche pesante. In questa epoca, in cui accade proprio quello che non si poteva immaginare e in cui deve necessariamente accadere ciò che non si può più immaginare, e se lo si potesse non accadrebbe più , in quest’epoca seria, che ha riso da morire all’idea di poter diventare seria, e che colta di sorpresa dalla propria tragicità aspira a distrarsi, e cogliendo se stessa sul fatto va in cerca di parole, in quest’epoca rumorosa che rimbomba dell’orribile sinfonia dei fatti che producono notizia e delle notizie che sono colpevoli dei fatti, in questa epoca non si attendano da me nessuna parola particolare, nessuna fuorché questa, che serve appena a preservare il silenzio dal fraintendimento. Troppo profondo è in me il rispetto per l’immutabilità, la subordinazione della lingua alla sventura. Nei regni della povertà della fantasia dove l’uomo muore di carestia spirituale senza accorgersi della sua fame spirituale, dove le penne sono intinte nel sangue e le spade nell’inchiostro, ciò che non è pensato deve essere fatto, ma ciò che è solo pensato è inesprimibile. Non si aspettino da me una mia parola, né potrei dire una nuova parola poiché nella stanza dove uno scrive il rumore è cosı̀ forte, e se provenga da animali, da bambini o solo da mortai non è cosa da decidersi ora. Chi aggiunge parole ai fatti deturpa la parola e il fatto ed è doppiamente spregevole; questa professione non si è estinta. Quelli che ora non hanno nulla da dire, poiché il fatto ha la parola, continuano a parlare. Chi ha qualcosa da dire si faccia avanti e taccia
L’umanità è la clientela. Dietro le bandiere e le fiamme, dietro gli eroi e i soccorritori, dietro tutte le patrie è stato eretto un altare di fronte al quale la scienza devota si torce le mano: Dio creò il consumatore! Ma Dio non creò il consumatore perché fosse felice sulla terra, bensì per uno scopo più alto: Perché sulla terra fosse felice il commerciante, dato che il consumatore è stato creato nudo e diventa un commerciante solo se vende vestiti. [..] L’estrema affermazione del progresso ha decretato ormai da tempo che la domanda si regoli sull’offerta, che si mangi perché sia un altro a diventare sazio, e che il venditore ambulante interrompa persino i nostri pensieri offrendoci cose di cui non abbiamo alcun bisogno. Il progresso, sotto i cui piedi l’erba si mette a lutto e il bosco diventa carta da cui crescono fogli di giornale, ha subordinato la vita ai viveri, trasformando noi stessi nelle viti di ricambio dei nostri utensili.
[…]
[Il reporter] ha condotto l’umanità, grazie a decenni di pratica, a quel grado di mancanza di fantasia che le rende possibile condurre una guerra di annientamento contro se stessa. Dato che il reporter, con la smisurata efficienza dei suoi apparati, ha privato l’umanità di qualsivoglia capacità di fare esperienza e di sviluppare intellettualmente l’esperienza stessa, può inoculare l’indispensabile sprezzo della morte con il quale essa stessa si getta in questa guerra. […] visto che il record auto-evidente non dà più adito a dubbi e la straziante esaustività risparmia ogni ulteriore conteggio, la conseguenza è che, stremati dalla molteplicità, il risultato non ci interessa più, e ciò in un’epoca in cui due volte a giorno, tutti i giorni, [quante volte oggi?] ci vengono propinati, oltre a tutti i dettagli insignificanti in venti versioni, anche le impressioni delle impressioni – la grande quantità si scompone in destini individuali che ricadono solo su singoli individui, e all’improvviso, anche quando si arriva al colmo, la morte eroica concessa viene avvertita come un crudele destino.




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